io sono nato a pollica
a dieci anni dall'uccisione di angelo vassallo
Il 5 settembre 2010 moriva ferito a morte da nove colpi di arma da fuoco Angelo Vassallo, il sindaco pescatore del Comune cilentano di Pollica, Salerno. Da quel 5 settembre sono trascorsi dieci anni di mancanze. Dieci anni senza Angelo, dieci anni senza un movente, dieci anni senza un mandante, dieci anni senza un esecutore materiale, dieci anni senza verità, dieci anni senza giustizia. In questi dieci anni, però, tutte queste aride mancanze sono state bagnate da una “Grande onda”, come dice Dario Vassallo, fratello del sindaco pescatore, un’onda inaspettata, composta da tante persone e azioni, dalla quale anche io mi sono fatto trascinare.

Erano gli inizi di settembre del 2016 quando andai a Pollica per la prima volta a ricordare l’anniversario dell’uccisione di Angelo, spinto da un vortice di curiosità e voglia di mettermi in gioco, raccolte dalle provocazioni di una professoressa rampante, Cristina Marchesini, e da un gruppo di amici affiatato.
La “Grande onda” mi ha travolto in pieno.
Il mio legame con il Cilento è un legame profondo che affonda le sue radici nei miei ricordi di infanzia, nelle estati passate dai miei nonni a Paestum, la porta di ingresso di quella lingua di terra che sposa in un’unione impensabile mare e montagne. Volevo toccare le ferite di quella terra, confrontarmi con l’autenticità di quei luoghi, conoscere le persone che li abitavano per abbandonare la visione turistica e distaccata con la quale mi ero approcciato fino a quel momento.
A Pollica sono cresciuto, ho cambiato il mio modo di osservare la realtà che mi circonda e il modo di osservare me stesso. Ho sviluppato, nell’intensità di quei giorni trascorsi tra la palestra nella quale dormivamo e il paese, la mia passione embrionale per l’impegno sociale e politico. L’adrenalina che mi trasmettevano quei pochi gesti che preparavamo senza sosta per ricordare un uomo giusto morto ingiustamente mi hanno fatto sentire vivo. Io a Pollica sono nato. A Pollica ho sentito per la prima volta i brividi di soddisfazione per una mia decisione davanti agli occhi stupiti di chi si chiedeva cosa ci facessero dieci ragazzi di Bologna in un paesino così distante dalla loro realtà. A Pollica ho provato la delusione di non vedere riconosciuto il tenace impegno di chi ha ancora la forza di sognare. A Pollica ho capito che non si può cambiare il mondo, si può evitare che peggiori, ma per fare questo bisogna essere fermamente convinti di poterlo migliorare. A Pollica ho conosciuto la fragilità della natura, violentata dalle fiamme appiccate dalle egoiste mani che frugano nelle tasche dei propri interessi e che vedono la luce solo per fare del male. A Pollica ho scoperto che mi diverto di più alle sagre di paese che in discoteca, che il vino e percoca è meglio del Malibu e Ananas e che una tarantella ballata con una nonna di settant’anni è meglio dei viscidi palpeggiamenti al ritmo di qualche musica computerizzata. A Pollica ho litigato come mai prima e fatto pace come mai prima. A Pollica ho vinto e a Pollica ho perso. A Pollica ho amato. A Pollica mi sono sentito per la prima volta adulto, in pieno possesso delle mie scelte e consapevole dei loro risultati, se pur piccoli.
Il 5 settembre per me è l’anniversario di tutto questo. Il mio 5 settembre non si consuma in 24 ore di triste e formale commiato per soddisfare un vuoto senso del dovere, mi accompagna tutto l’anno, ha accompagnato la nascita di Radio CAP e di tante altre esperienze che compongono la mia vita. Io sono nato il 5 settembre, oggi è il mio compleanno e il compleanno di molti miei amici che con me hanno vissuto queste vicende. Il 5 settembre un black out di civiltà ha spento Angelo e al contempo ha fatto accendere una luce di sicurezza nei cuori e nelle menti di molti. Oggi in Italia c’è più luce. Assassini, l’ingiustizia e le falsità non vi terranno all’oscuro per sempre. Avete perso. L’ultima luce che manca è quella che illuminerà il vostro volto.