non doveva essere il tuo ultimo giorno
Il mondo può essere salvato solo dal soffio della scuola
Venerdì ventuno gennaio è stato il giorno in cui ho iniziato a pensarti, caro Lorenzo.
In cui tutti noi studenti, appena maggiorenni, abbiamo iniziato a pensarti più del solito portandoti con noi a scuola, lasciando affianco a noi un banco vuoto in modo tale che tu ti sedessi accanto a noi. Inoltre studiamo con più determinazione e, quando ripetiamo ad alta voce un argomento, quasi proviamo ad urlarlo in modo tale che tu possa sentirlo e studiarlo assieme a noi.

Caro Lorenzo, sono davvero curiosa di immaginare le tue ambizioni. Volevi forse lavorare all’estero?, diventare un meccanico all’avanguardia?, forse volevi avere due figli e trasmettergli la passione per il tuo lavoro?, magari realizzare la tua vita assieme alla ragazza di cui ti sei profondamente innamorato, ma per colpa della timidezza non le hai detto nulla.
Millequattrocentoquattro i morti sul lavoro del duemilaventuno.
Millequattrocentoquattro.
Millequattrocentoquattro persone, volti, padri, madri, fratelli e sorelle, figli, lavoratori e lavoratrici che erano lì, per servire il paese, la loro dignità e per poter sopravvivere, a costo di morire.
In Italia negli ultimi vent’anni le morti sul lavoro sono aumentate esponenzialmente, perché si preferisce non controllare, si preferisce modificare un macchinario per velocizzarlo e, con esso, aumentare la produzione, perché si deve produrre, produrre e produrre, in questa società sempre più affamata ed esclusiva.
Il punto di non ritorno si è verificato con la morte di Lorenzo Parelli, ragazzo di diciotto anni che durante delle ore di alternanza scuola lavoro all’interno di una fabbrica, non retribuito, è stato schiacciato da una putrella ed è morto sul colpo.
Lorenzo è morto a scuola, e stiamo parlando di quella “buona scuola” che dalla sua introduzione nel duemilaquindici è stata accettata da tutti i governi successivi, soprattutto quello attuale, in cui il Ministro Bianchi ha follemente pensato di introdurre l’alternanza scuola lavoro fin dalle medie, affinché gli studenti vengano a contatto con il mondo del lavoro.
Ma in che cosa si sta trasformando la scuola?
Bastano piccoli tasselli per creare un quadro completo che insegue sempre più un ideale capitalista.
I presidi degli istituti non si chiamano più così, ma bensì dirigenti.
Le ore di alternanza sono obbligatorie: altrimenti non verrai ammesso all’esame di stato, nonostante tu possa avere una media scolastica eccellente.
Il curriculum dello studente è obbligatorio e dovrai presentarlo rendendo partecipi i professori delle attività che svolgerai; se le tue attività extrascolastiche saranno carenti, di conseguenza i tuoi crediti saranno inferiori. I tuoi genitori lavorano quattordici ore al giorno, ma se non possono permettersi di pagare la palestra a te e ai tuoi due fratelli, devono scegliere. Ma tutto ciò alle istituzioni non importa.
Devi essere costantemente produttivo.
Lavori per delle aziende e non sei retribuito, vieni sfruttato consapevolmente, e ti insegnano che tutto ciò è normale, soprattutto in questo paese, cui possiede una classe dirigente becera.
Se studi in un liceo sarai forse più fortunato a svolere attività di scuola - lavoro. Sicuramente non rischierai la vita come i ragazzi degli istituti tecnici. Dopotutto dovevi aspettartelo, no?
La scuola si sta trasformando in un luogo in cui le élite padroneggiano, in modo estremamente competitivo; si sta trasformando in un luogo di passaggio e di critica, perché ti diranno che a sedici anni dovresti iniziare a cercarti un lavoro, non dovrai studiare per sempre. Perché studiare non è faticoso.
Ciò che dovrebbe preoccuparci – come popolo, cittadini e persone – sono gli strascichi che l’attuale pandemia sta lasciando: abbandono dello studio, ansia, depressione, solitudine e dovremmo assolutamente riflettere sul ruolo che la scuola dovrebbe avere, perché se come dice Don Lorenzo Milani, dovrebbe essere un luogo in cui non si respingono i ragazzi difficili, altrimenti diventa un ospedale che cura i sani e respinge i malati; il luogo di ritrovamento di sé stessi per eccellenza è proprio questo.
Lo studio è anzitutto diritto e dobbiamo sempre immedesimarci in chi questo diritto non può averlo e attraverserebbe i mari nuotando per poterselo guadagnare.
Lo studio inteso come momento per riflettere e non per inghiottire a forza parole e millenni, senza alcun senso.
Caro Lorenzo, tutta la rabbia che noi studenti abbiamo e proviamo a diffondere nelle piazze, anche se repressa violentemente, è perché anche noi abbiamo paura di non rivedere più un nostro compagno di classe. Solamente perché il mondo del lavoro vuole prenderci e portaci via immediatamente e per sempre.
Che la terra ti sia lieve.