mistero a pigalle
il prologo commentato dall'autrice: parte prima
Lettura ragionata della prima parte dell'incipit del romanzo giallo pubblicato su Amazon in giugno 2021.
“È un inverno rigido e piovoso, quello parigino del 2012.
Le nuvole che sovrastano la Tour Eiffel, fin quasi a coprirne l’estremità, promettono acqua anche in quel pomeriggio.
Jean-Paul è convinto che, come il giorno precedente, la pioggia abbasserà ulteriormente la temperatura, sorprendendo la moltitudine di visitatori in fila all’entrata del Musée du Louvre e del Centre George Pompidou.

Sa che bagnerà i turisti, i quali – con le orecchie scricchiolanti e la sensazione di trovarsi nel bel mezzo di una guerra stellare – scenderanno in tutta fretta dalla Tour Eiffel, a pochi passi da lì.
L’uomo arresta improvvisamente il proprio cammino e dirige gli occhi verso il cielo.
Conosce il grigiore che lo sovrasta come il palmo della sua mano: sa bene che, di lì a poco, tuoni e fulmini invaderanno il cielo squarciandolo in più parti. Più o meno da quaranta inverni – almeno da quando lui si ricorda – succede sempre la stessa storia.
Abbassa poi lo sguardo sulla valigia, consumata dal tempo, che la sua mano destra sta sorreggendo.
La osserva con attenzione.
Improvvisamente se ne vergogna.
Si sta sentendo ridicolo nel mostrarsi ai passanti con un accessorio femminile e, per di più, dalle cerniere tutt’altro che salde.
Valigia che, a dispetto degli anni, ha mantenuto un colore rosso acceso intervallato da intarsi dorati.
Ripensa allo stupore del giorno prima nel momento in cui, aprendo per caso il baule della propria Citroën, era rimasto colpito nel vedere come un oggetto a lui sconosciuto potesse brillare in quel modo e riflettere il proprio bagliore sull’oscurità del tappetino color della pece, steso per preservare la base di appoggio dai bagagli dei clienti.
Jean-Paul è cosciente del fatto che, essendo taxista, ogni giorno accompagna decine di persone di cui non conosce la storia né la provenienza. Ciascuno di loro, nel tragitto verso varie destinazioni, siede nei posti dietro, restando spesso in silenzio.
Lui, quale professionista che si sente di essere, da sempre si limita a rispondere alle domande che talvolta gli vengono rivolte, evitando di toccare le sfere personali propria e dei passeggeri.
Butta nuovamente lo sguardo sulla valigia e si incolpa per non aver trasgredito, il giorno precedente, quelle rigide regole di rispetto della riservatezza dei clienti.
Aveva trascorso ben mezz’ora in compagnia di quella signora così distinta, a dispetto di qualche ruga di troppo e, forse, a giudicare dallo sdsguardo che aveva colto sul suo volto, di un problema più grande di lei.
Eppure, valutando il suo aspetto fisico, non gli era sembrata anziana.
La donna, ricorda Jean-Paul, era scesa dall’automobile in tutta fretta, reggendo malamente in mano una borsa di marca, colma di chissà che cosa.
Si era poi precipitata verso l’entrata della Gare de Lyon, dimenticandosi di prendere la valigia che, a inizio tragitto, gli aveva fatto caricare nel baule posteriore.
L’uomo si sente ora responsabile per non aver soddisfatto la curiosità che la misteriosa signora aveva suscitato in lui.
Soltanto in quel momento realizza che, una volta tanto, quelle del giorno antecedente non sarebbero state chiacchiere sterili.
“Qualunque cosa lei mi avesse detto sarebbe stato un indizio per ritrovarla, accidenti! E io ora non sarei in quest’inutile e dannoso imbarazzo”.
La mente dell’uomo racchiude a cerchio la rosa di domande che ipotizza gli verranno presto rivolte.
Si sforza di mettere a fuoco una volta di più quel bel viso di donna, consumato dal tempo e da qualcosa che gli sfugge; quello sguardo spento, assente, stampato per tutta la durata del tragitto su un volto che aveva costantemente seguito dallo specchietto retrovisore.
È già tanto, forse troppo tempo che Jean-Paul sta sopportando il peso della valigia per non averne ancora intuito il contenuto: nel momento in cui ne aveva scorto il bagliore di luce rossa nell’oscurità del baule non aveva avuto dubbi sul fatto che fosse proprio di quella cliente.
L’aveva sollevata con entrambe le mani e poi scossa, poggiando l’orecchio su di essa, nella speranza che i movimenti degli oggetti custoditi al suo interno potessero parlare.
Quegli oggetti, però, avevano taciuto.
Come aveva fatto la loro proprietaria.
Per un attimo – e se ne era vergognato – aveva provato un sentimento simile all’invidia verso i non vedenti. Un’esperienza vissuta tempo prima lo aveva convinto che una persona obbligata ad affidare la propria esistenza al tatto e all’udito avrebbe colto meglio di lui il contenuto di quel bagaglio.
L’uomo si era ricordato, improvvisamente, di un episodio che lo aveva visto protagonista negli anni in cui, da bambino, trascorreva i pomeriggi in compagnia di una sua prozia, mentre i genitori erano al lavoro. Almeno una volta alla settimana la donna si faceva accompagnare da lui in una struttura che ospitava persone non vedenti. La prima volta che Jean-Paul era entrato nell’edificio contornato dal verde di un giardino ben curato, situato in un quartiere parigino abbellito da innumerevoli balconi con le ringhiere in ferro battuto, era rimasto sconvolto dal buio che saturava quelle immense stanze dalle finestre serrate. Così come il primo giorno, rimaneva sempre stupito dal tavolo maestoso che imperava al centro della stanza. Ai suoi lati sedeva sempre una moltitudine di donne di differenti fasce di età.
Alcune di esse indossavano occhiali scuri.
Altre non si vergognavano di mostrare i loro occhi talvolta bianchi come una distesa di neve. Seppure fossero diverse fra loro, il giovane Jean-Paul vi aveva scorto una caratteristica comune, al di là della cecità: la capacità di muovere le dita con una naturalezza indicibile mentre inserivano minuscole ruote di gomma su piccole carcasse di camioncini di plastica, che avrebbero allietato i momenti di gioco di molti bambini.
Nipote e prozia non facevano in tempo a entrare nella casa che Amélie, la donna che, fra tutte, aveva il viso più armonioso, si alzava prima delle altre e si avvicinava alla porta, chiedendo chi fosse arrivato. Salutava quindi l’amica con molto calore, ringraziandola per la visita.
Lui non aveva mai dimenticato, nemmeno una volta divenuto adulto, il pomeriggio in cui una signora dagli occhi sbarrati, azzurri come uno scorcio di cielo terso, gli si era affiancata e aveva iniziato a tastarlo, dapprima sul volto e poi sulle spalle e sul torace.
Aveva poi appoggiato la propria mano sul pullover che quel giorno Jean-Paul indossava e aveva iniziato a strofinarvi le dita dall’alto verso il basso e viceversa, mentre lui rimaneva immobile, quasi spaventato.
Dopo qualche istante, la donna aveva rotto il silenzio: «La tua maglia gialla risplende più del sole!».
Il ragazzo era rimasto turbato da tali parole e si era chiesto, per lungo tempo, come la signora avesse potuto indovinare il colore del maglione.
Jean-Paul torna improvvisamente alla realtà, riconoscendo con rammarico che la propria attività di detective, improvvisata per caso in quel giorno di fine febbraio, sta fallendo ancora prima di iniziare.” […]
Avete appena letto la prima parte del prologo di Mistero a Pigalle il romanzo che ho pubblicato lo scorso giugno.
Dopo Un sogno chiamato Vittoria e L'Alba di un nuovo domani, mi sono piacevolmente cimentata nella mia prima trama “in giallo”.
Nell'incipit del libro è racchiuso il primo degli innumerevoli misteri che si dipanano nella storia narrata, ambientata tra Bologna e Parigi nel primo ventennio del XXI secolo: una misteriosa valigia viene dimenticata da un'impenetrabile cliente nel baule di un taxi alla Gare de Lyon. Il lettore scoprirà che alla Gendarmérie du 7ème Arrondissement viene affidato il compito di identificarne il contenuto e soprattutto la proprietà, grazie al certosino lavoro compiuto – non senza colpi di scena – dall'agente Matieu Durac.
Il prologo non è però soltanto mistero ma anche un'occasione di riflessione su determinati temi. In primo luogo viene affrontato quello del pregiudizio ancestrale secondo cui un uomo si possa sentire “[…] ridicolo nel mostrarsi ai passanti con un accessorio femminile […]. Nel caso di specie si tratta di un taxista distratto alle prese con il bagaglio – tutt'altro che unisex – di una cliente. L'uomo, nella storia, mette da parte l'imbarazzo considerando prioritaria la destinazione della valigia verso la Gendarmérie a lui più vicina. Ma cosa sarebbe successo se invece si fosse fatto sopraffare dalla vergogna e vi avesse rinunciato? Senza svelarvi troppo della trama: giustizia non sarebbe stata fatta. E soltanto per colpa di un preconcetto.
Un ruolo chiave nella singolare situazione in cui Jean-Paul si ritrova, suo malgrado, è costituito dalla sua discrezione nei confronti di chi, ogni giorno, viene caricato sulla sua Citroën; una sorta di silenzioso rispetto verso chi gli assicura la paga quotidiana. Pertanto l'uomo […] da sempre si limita a rispondere alle domande che talvolta gli vengono rivolte, evitando di toccare le sfere personali propria e dei passeggeri […] Soltanto in quel momento realizza che, una volta tanto, quelle del giorno antecedente non sarebbero state chiacchiere sterili.[…] Butta nuovamente lo sguardo sulla valigia e si incolpa per non aver trasgredito, il giorno precedente, quelle rigide regole di rispetto della riservatezza dei clienti. […]. Essendo un libero professionista, Jean-Paul non è soggetto al controllo direttivo e disciplinare da parte di un datore di lavoro; ma soltanto al rispetto delle regole dettate dalla specificità della sua occupazione oltre che al buon senso e alla corretta guida della propria autovettura. Dunque quelle che lui stesso definisce “rigide regole di rispetto della riservatezza dei clienti” sono una sua arbitraria volontà, che è solito applicare – al pari di un protocollo – nei confronti di ogni passeggero. Soltanto leggendo l'epilogo del romanzo si comprende che, da quel fatidico giorno in avanti, l'uomo deciderà di non seguire più quei rigorosi canoni ma di stabilire di volta in volta, a seconda del cliente, quale grado di discrezione adottare; mantenendo sempre inalterato il rispetto verso chi viaggia con lui. Questo è soltanto uno dei tanti esempi che ci confermano che il lavoro, perfino quello che può apparire più monotono di altri, può riservarci quotidianamente delle sorprese che lo rendono differente da quello svolto il giorno prima.
Leggendo l'incipit risulta innegabile la distrazione del nostro taxista; ma altrettanto confermata è la sbadataggine della sua cliente […] Si era poi precipitata verso l’entrata della Gare de Lyon, dimenticandosi di prendere la valigia che, a inizio tragitto, gli aveva fatto caricare nel baule posteriore. […]. Ci chiediamo quindi se valga davvero la pena correre, correre e ancora correre nel nostro vivere – spesso sopravvivere – quotidiano. La frenesia che accompagna le nostre giornate talvolta può rivelarsi molto pericolosa: non ci lascia assaporare – come invece ne avremmo il diritto – sensazioni ed emozioni che purtroppo non si ripeteranno più. Anche se può sembrarci strano, infatti, ogni giorno è irripetibile; differente da quello che si è chiuso alla mezzanotte precedente; diverso da ciò che ci riserverà l'indomani.
Una cosa è certa: l'essere entrato in possesso di quella valigia sta innescando in Jean-Paul una situazione di vero e proprio panico. Una sorta di terrore verso l'ignoto che l'uomo sente crescere dentro di sé e che gli scatena una sensazione a lui molto sgradita: […] Per un attimo – e se ne era vergognato – aveva provato un sentimento simile all’invidia verso i non vedenti. […]. La sensibilità tattile di chi non può utilizzare uno dei cinque sensi – la vista – è superiore a quella di chi non ha questo problema: a confermare la letteratura scientifica al riguardo ci sono i fatti: uno fra tutti l'episodio, narrato nel prologo, capitato a Jean-Paul bambino. Viene pertanto da chiedersi fino a che punto il panico può spingersi e quanto può divenire pericoloso, rischiando addirittura di annientare la nostra razionalità.
Il prologo non finisce qui: nella prossima puntata vi svelerò la seconda e ultima parte, offrendovi altri spunti di riflessione.
A presto!

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13 Novembre 2021
di Emanuela Susmel
il prologo commentato dall'autrice: parte seconda
Prosegue e si conclude la lettura ragionata dell'incipit del romanzo giallo pubblicato su Amazon in giugno 2021
[…] “Jean-Paul torna improvvisamente alla realtà, riconoscendo con rammarico che la propria attività di detective, improvvisata per caso in quel giorno di fine febbraio, sta fallendo ancora prima di iniziare.
Non pretende di indovinare il contenuto della valigia solo dal suo colore, unico elemento visibile, ma non sopporta l’idea di portare quel fardello senza sapere di cosa si tratti.

“E se contenesse una bomba?” pensa mentre le sue gambe stanno sveltendo il passo.
Girato l’angolo di un maestoso edificio, si ritrova di fronte alla Gendarmérie du 7ème Arrondissement; luogo in cui, ne è certo, potrà scrollarsi di dosso un peso che sta diventando più psicologico che fisico.
La responsabilità che si sente addosso lo sta comprimendo come una pressa.
Jean-Paul nota che il portone è aperto: tira un sospiro di sollievo e varca la soglia senza esitazione.
Un uomo in divisa lo accoglie con fare circospetto e lo prega di attendere nell’atrio.
Il taxista sa bene che quel luogo, per talune persone, è l’anticamera della prigionia: nonostante tutto, egli vi respira aria di libertà pensando che, nel giro di pochi minuti, quel carico non sarà più nelle sue mani.
Sa infatti che un signore distinto lo accoglierà, gli chiederà di porgergli la valigia e lo congederà dopo avergli fatto firmare una semplice dichiarazione. Tutto qui.
«Avancez, Monsieur, s’il vous plâit»[1] sente dire all’improvviso, in un momento in cui i suoi occhi sono persi nell’immagine coloratissima dell’unico quadro appeso a una parete bianca e anonima come quella di un ospedale.
«Bonjour, Monsieur»[2] saluta Jean-Paul.
«Quel est votre nom de famille, s’il vous plâit?» [3].
«Millet».
«Votre prénom?» [4].
«Jean-Paul».
«Quel est le lieu et la date de votre naissance?»[5].
Jean-Paul estrae dal portafoglio il proprio documento di identità e lo porge all’uomo in divisa: la mania di perfezionismo che da sempre gli invade la mente, costituendo per lui talvolta un difetto, non gli permette nemmeno stavolta di concepire un margine di errore dovuto alla distrazione.
«Que voulez-vous dénoncer, Monsieur Millet?»[6].
Jean-Paul solleva la valigia rossa e la appoggia sul tavolo che lo divide dal poliziotto. La scruta un’ultima volta mentre la alza da terra. Sa che, da quel momento in poi, non avrà più la possibilità di toccarla.
Lo rincuora il fatto che un simile contenitore di segreti sia appena uscito dal suo possesso per entrare in quello della Gendarmérie.
Attende un momento prima di levare la mano dal tessuto liso dal tempo. Un tempo che deve aver riservato sorprese poco gradite alla proprietaria: ne è convinto più che mai nel momento in cui rivede, nitido come in una fotografia, quel volto di donna solcato da rughe profonde come abissi. Solchi che – pensa lui – nascondono qualcosa di misterioso; solchi che gli erano sembrate grinze tipiche del passaggio verso una maturità densa di amarezza e di delusione.
O, forse, soltanto di solitudine.
Mentre solleva la mano dalla valigia l’uomo congeda, una volta per tutte, quel volto i cui contorni si stanno già annebbiando nella sua mente.
«A chi appartiene questa valigia?».”
«Sono un taxista. Ieri mattina una cliente l’ha dimenticata nel baule della mia automobile».
«Hier?»[7] l’uomo in divisa aggrotta le ciglia.
«Me ne sono accorto un paio di ore fa, caricando il bagaglio di un altro cliente».
«La donna l’ha reclamata?».
«Io non l’ho più vista né sentita e i colleghi del centralino del servizio di prenotazione taxi mi hanno confermato di non avere ricevuto alcuna telefonata».
L’impiegato della Gendarmérie acciglia ulteriormente lo sguardo.
«Mi descriva la donna».
Jean-Paul si concentra, riunendo nella propria mente anche il più piccolo dei dettagli che ricorda di lei.
«È mora, magra. Non sono stato in grado di capirne l’età».
«In che senso, mi scusi? L’avrà pur guardata!».
«Il suo viso è solcato da rughe, eppure ho avuto la sensazione che fosse più giovane di quanto sembrasse».
«Saprebbe quantificare almeno approssimativamente?».
«Un fisico da cinquantenne al massimo».
Il funzionario getta uno sguardo stupito sulla valigia.
«A giudicare dal tipo di effetto personale, dovrebbe trattarsi di una persona più giovane…».
«Probabilmente lo era quando l’ha acquistata. La osservi bene, è consumata dal tempo. L’unica cosa che si è ben conservata sono questi intarsi luccicanti lungo il perimetro».
L’agente improvvisa una smorfia poco lusinghiera: vorrebbe chiedere all’uomo che ha di fronte chi dei due lavora in Gendarmérie e chi fa il taxista, ma poi si trattiene poiché la sua testimonianza gli serve ancora.
«Prosegua».
«Quando è salita sulla mia auto, mi ha chiesto di caricare la valigia nel baule».
«Dove è salita la signora, esattamente?».
«Alla stazione dei taxi di boulevard de Clichy, nei pressi del Moulin Rouge».
L’agente spalanca gli occhi.
«L’ha vista uscire dal Moulin Rouge?».
«Al mio arrivo era lì fuori ad aspettarmi».
«Aveva altri bagagli al séguito?».
«Una borsa blu con la tracolla beige, credo di marca, che si chiudeva a stento tanto era piena. Ma quella se l’è tenuta vicino a sé durante il viaggio».
«Cosa le ha detto quando è salita in auto?».
«Mi ha salutato con una cortesia che mi ha stupito. Poi mi ha chiesto di accompagnarla subito alla Gare de Lyon. Sembrava avere fretta. Per tutto il tragitto è rimasta in silenzio, con uno sguardo quasi assente».
«Quali vestiti indossava?».
«Un cappotto rosso come questa valigia: ho notato immediatamente quanto il colore fosse in forte contrasto con lo sguardo spento stampato sul suo volto».
«Si spieghi meglio».
«Ha un bel viso, o meglio, probabilmente lo avrà avuto quando era giovane: occhi neri ma troppo truccati per la sua età; bocca ben delineata ma decisamente troppo colorata; collo lungo e slanciato ma solcato dalle rughe».
Il funzionario invita Jean-Paul ad attenderlo qualche istante, prima di sparire dalla sua vista.
Il taxista teme di dover passare nell’ufficio più tempo di quanto ne abbia a disposizione. Si toglie il giaccone pesante e bagnato, rilassa i muscoli e si guarda intorno: essendo la prima volta che entra in una Gendarmérie, soltanto ora può constatare che quello stile, quella freddezza, quell’impostazione asettica sono esattamente come li aveva sempre immaginati.
D’un tratto ripensa a una sua vecchia compagna delle scuole superiori che, poco dopo essersi diplomata, gli aveva comunicato di aver vinto un concorso pubblico. Qualche tempo dopo aver preso servizio, l’entusiasmo per il posto fisso era via via scemato, schiacciato dalla freddezza dell’ambiente lavorativo che, sosteneva lei, era molto più opprimente di quanto avesse potuto pensare.
Il ricordo di Jean-Paul viene interrotto dall’arrivo di un poliziotto che lo saluta con distacco.
«Bonjour!»[8].
«Bonjour, Monsieur!»[9].
«Ora io aprirò questa valigia e ne farò esaminare il contenuto al mio collega, Monsieur Matieu Durac. Ma ho bisogno del suo aiuto, dal momento che lei è l’unica persona ad aver conosciuto la proprietaria. Intendo dire: nel caso trovassimo qualche oggetto significativo… D’accord?[10]».
Jean-Paul guarda fugacemente l’orologio stretto al suo polso. Vorrebbe sbuffare, urlare che per lui tutto ciò è un’enorme perdita di tempo; che non c’entra nulla con quella donna stravagante; che, invece di restare chiuso in quell’ufficio asettico chissà per quanto tempo ancora, dovrebbe essere alla guida del suo taxi a guadagnarsi la giornata.
Ma sa che non può farlo; sa che deve trattenersi. Rinuncia a controbattere.
Un cigolio stride nel silenzio della stanza.
Il taxista dirige lo sguardo sulla valigia di cui ora vede alzata una delle quattro alette che la tengono chiusa. Si stupisce del fatto che l’apertura del bagaglio sia così facile ma riconosce anche che, in fondo, questo per lui non ha alcuna importanza, non essendosi mai azzardato a violare la privacy altrui.
Si sente però improvvisamente assalire da uno strano senso di responsabilità, forse l’inizio di un attacco di panico, a lui sconosciuto fino a quel momento. Jean-Paul si domanda come mai, tutto sommato, dovrebbe avere paura del contenuto di quella valigia. Non trova una risposta logica, eppure piccole gocce di sudore iniziano a colargli dalla fronte.
«D’accord, Monsieur Millet?»[11] ripete l’uomo in divisa.
«Oui, Monsieur»[12].
Con lo sguardo puntato sul funzionario intento a studiare la combinazione giusta, Jean-Paul tenta, con tutte le proprie forze, di annientare quel mistero; di infrangerlo, come un vetro ridotto in piccoli pezzi dopo la pallonata tirata maldestramente da un bambino.
La mente gli ripropone davanti agli occhi le scene di un film noir visto da ragazzino, il primo di una lunga serie: la valigia, quella volta, apparteneva a un serial killer e il regista della pellicola non aveva avuto alcuna pietà degli spettatori, mostrandone il contenuto fatto di brandelli e svariate e distinte parti del corpo della vittima, una giovane donna straniera.
«Monsieur, tout va bien?»[13] chiede il poliziotto.
Il taxista sussulta, ridestato di soprassalto dalla voce dell’uomo. Muove la testa dal basso verso l’alto.
L’impiegato della Gendarmérie lo osserva con sguardo preoccupato, poi pone nuovamente le mani sulla combinazione, borbottando qualcosa in una lingua quasi incomprensibile.
D’un tratto, il rumore di un piccolo doppio “clic” e, come per incanto, il coperchio del bagaglio è lì, davanti a loro, pronto per essere sollevato da un momento all’altro.
Jean-Paul si obbliga a scrutare l’orologio: vuole conoscere l’ora esatta di un suo possibile malore, in modo da poterlo eventualmente riferire ai medici, una volta riavutosi.
Continua a non capirne il motivo, ma sta soffrendo terribilmente.
Sono le sette di sera: l’uomo constata di aver già trascorso troppe ore in quell’ufficio angusto.
«Et voilà!»[14] esclama il funzionario aprendo senza fatica la valigia.
Un altro e più deciso “clic” metallico rompe nuovamente il silenzio della stanza.
Il contenuto di quella carcassa è lì, davanti ai loro occhi. E sta già rubando la scena a tutto ciò che vi è intorno.”
Ed eccovi svelata la seconda e ultima parte del prologo di Mistero a Pigalle, il romanzo che ho pubblicato lo scorso giugno. Trovate la prima parte pubblicata in precedenza su questa stessa testata.
Vi ricordate dov'eravamo rimasti? Stavamo parlando di Jean-Paul, il taxista parigino che, per aver compiuto una leggerezza, si ritrova con in mano una misteriosa valigia dimenticata da un'enigmatica cliente, poi scomparsa nel nulla. L'uomo non sopporta l'idea di essere entrato in possesso di un oggetto a lui inaccessibile: […] “E se contenesse una bomba?” pensa mentre le sue gambe stanno sveltendo il passo. […] La responsabilità che si sente addosso lo sta comprimendo come una pressa. […]. Mettendo in atto la tanto auspicata “diligenza del buon padre di famiglia” il nostro uomo sceglie di fare la cosa che più gli sembra ovvia: consegnare nelle giuste mani quell'oggetto che non gli appartiene. Non potendo ritrovare la legittima proprietaria si incammina verso la Gendarmérie a lui più vicina. Come dicevamo in occasione della lettura della prima parte del prologo, se Jean-Paul vi avesse rinunciato, giustizia non sarebbe stata fatta. Ma questo il lettore lo scoprirà soltanto nella parte finale della trama.
Concentriamoci ora sulla misteriosa cliente, salita sul taxi in boulevard de Clichy, nei pressi del Moulin Rouge. Si sarà trovata in quella particolare zona di Parigi per puro caso o per un motivo preciso? Jean-Paul, osservando la valigia, pensa che il tempo […] deve aver riservato sorprese poco gradite alla proprietaria: ne è convinto più che mai nel momento in cui rivede, nitido come in una fotografia, quel volto di donna solcato da rughe profonde come abissi. Solchi che – pensa lui – nascondono qualcosa di misterioso; solchi che gli erano sembrate grinze tipiche del passaggio verso una maturità densa di amarezza e di delusione. O, forse, soltanto di solitudine. […]. L'uomo si sente forse attratto da quel volto femminile, seppur solcato da rughe di cui soltanto lei conosce l'origine. Non si tratta infatti di una persona anziana […] «Un fisico da cinquantenne al massimo» […]. Viene quindi da chiedersi quanto possano influire, oltre che sull'animo anche sul fisico, amarezza e delusione. E che danni puà provocare la solitudine? L'essere umano è nato per vivere la socialità: lo abbiamo provato sulla nostra pelle durante i mesi di lockdown a causa del Covid-19. Ma, tornando a questa donna, cosa le sarà mai successo, essendo la storia ambientata prima della pandemia? Il lettore lo scoprirà girando le ultime pagine del libro.
Nella lettura della prima parte del prologo avevo accennato alla sensazione di panico provata da Jean-Paul nell'essere entrato in possesso, suo malgrado, di una valigia dal contenuto a lui ignoto. In questa seconda parte tale emozione si mostra senza veli. […] Si sente però improvvisamente assalire da uno strano senso di responsabilità, forse l’inizio di un attacco di panico, a lui sconosciuto fino a quel momento. Jean-Paul si domanda come mai, tutto sommato, dovrebbe avere paura del contenuto di quella valigia. Non trova una risposta logica, eppure piccole gocce di sudore iniziano a colargli dalla fronte. […]. Non è un caso che gli riaffiorino alla mente, procurandogli le stesse sensazioni del passato, le scene di un film noir visto da ragazzino. La paura è un'emozione razionale che può rivelarsi utile per non farci commettere errori di cui poi potremmo pentirci. Quando però sfocia nel terrore o nel panico diviene irrazionale e, come tale, non gestibile autonomamente. Nel caso di Jean-Paul, ci pensa il gendarme a riportarlo al presente.
In conclusione della lettura che ho desiderato proporvi, una cosa è certa: se la cliente non avesse dimenticato la valigia nel taxi di Jean-Paul per me sarebbe stato un grosso problema; tanto che non avrei potuto scrivere MISTERO A PIGALLE!
Note:
[1] «Venga avanti, signore, prego».
[2] «Buongiorno, signore».
[3] «Il suo cognome, per piacere». «Millet».
[4] «Il suo nome di battesimo?». «Jean-Paul».
[5] «Il luogo e la data della sua nascita?».
[6] «Cosa vuole denunciare, signor Millet?».
[7] «Ieri?».
[8] «Buongiorno!».
[9] «Buongiorno, signore!».
[10] «[…] … D’accordo?».
[11] «È d’accordo, signor Millet?».
[12] «Sì signore».
[13] «Signore, è tutto a posto?».
[14] «Ecco!».

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