mascherine trasparenti
difficoltà di comunicazione durante la pandemia
La pandemia ha certamente reso difficile la vita di molti, ma, forse, ha colpito maggiormente chi già viveva una condizione di fragilità, chi già stava combattendo in mezzo alla massa. Mi vorrei ora soffermare sulle difficoltà di comunicazione tra persone sorde e udenti, che sicuramente non sono una novità, ma sono state notevolmente acuite dalle mascherine chirurgiche. Infatti, quando la situazione sanitaria è diventata critica, le mascherine sono state rese obbligatorie, almeno in alcuni contesti, in quanto utile presidio per proteggere sé stessi e gli altri.

La mascherina, però, si è trasformata in una barriera per chi necessita della lettura labiale. Per risolvere questo problema le soluzioni più immediate sono le seguenti: chiedere all’interlocutore di abbassare la mascherina, ovviamente a debita distanza; l’utilizzo della scrittura; di gesti iconici; della LIS. Tuttavia, non sempre è possibile venire incontro a queste esigenze né tutti sono disposti a farlo.
La produzione di mascherine trasparenti ha creato un positivo scalpore sia in Italia che nel resto del mondo. In particolare, in Italia viene creato un modello riutilizzabile che prevede uno schermo rigido in pvc, con filtri e respiratori laterali per lasciare visibile la bocca. Di ultima generazione, invece, è Cliu: un modello ideato da designer italiani e spagnoli che intende mettere insieme sostenibilità e accessibilità, completamente costruito a partire da scarti agroalimentari o forestali, dotato di un sistema di anti-appannamento per la parte trasparente che può essere sanificato con raggi ultravioletti e tenere sotto controllo la qualità dell’aria respirata e circostante. Queste sono solo alcune fra tutte le iniziative favorevolmente accolte, in quanto esempi di sensibilità alle problematiche – non solo economiche – che questa emergenza ha prodotto.
Ciononostante, è bene ricordare che tali dispositivi di protezione hanno i loro difetti: in primo luogo, si appannano molto facilmente impossibilitando la lettura labiale; in secondo luogo, attualmente, sono pochissimi i modelli certificati come presidi medici, quindi non è possibile essere totalmente certi della loro efficacia come dispositivi di protezione, e questo preclude il loro utilizzo in ambienti pubblici. Per di più, le mascherine trasparenti sono rimaste relegate ad alcune realtà locali. Spesso, sono i singoli individui a richiederle sapendo di averne bisogno perché in contatto con persone sorde o, in altri casi, vengono distribuite all’interno di sedi lavorative (vista l’elevata percentuale di lavoratori sordi). Il Ministero dell’Istruzione, solo con l’avvio dell’anno scolastico 2020/2021, ha ampliato il Protocollo di Sicurezza per contenere la diffusione del Covid-19 con la distribuzione, a personale e studenti, di mascherine monouso trasparenti per favorire l’inclusione degli studenti sordi.
Le mascherine trasparenti in classe sono sicuramente state un accorgimento importante per provare a ridare un briciolo di normalità a tutti quei ragazzi che, inevitabilmente, vengono esclusi dalla socialità. È frustrante non poter seguire le conversazioni di chi ti circonda. È frustrante vedere gli amici che ridono senza conoscerne il motivo, e ovviamente senza poter ridere assieme a loro. In questo modo, però, si viene tutelati solo in ambiente scolastico, non nella quotidianità. Al bar, sull’autobus, nei negozi, nessuno indossa mascherine trasparenti e questo rende impossibili gli scambi veloci di informazioni. Tutto è sempre mediato da quel primo momento – un po’ imbarazzante – in cui viene detto “scusami, non è che potresti abbassare la mascherina? Sai, io faccio fatica a sentire e dovrei leggere il labiale”.
Credo sia importante porre l’attenzione anche su un altro aspetto molto meno pratico: le persone non udenti, ad oggi, sono obbligate a raccontarsi. Sono obbligate a rivelare le proprie difficoltà sempre, alla cassa, al bar, sull’autobus. Non gli è data scelta. Non possono scegliere se dirlo e quando dirlo. Non credo che il far fatica a sentire o il non sentire affatto sia un disvalore, men che meno un difetto, ma credo che sia il singolo a dover scegliere quando e a chi rivelarlo. Nella realtà che stiamo vivendo, con le mascherine, è impossibile fare questa scelta e questo porta alla voglia di isolarsi, in ogni luogo pubblico. Si spera che la gente non ti rivolga la parola, perché non sempre si ha voglia di raccontare chi siamo agli altri. Si è obbligati, ancor prima delle presentazioni, a rivelare questa difficoltà, che, in un certo modo, diventa la caratteristica principale e più immediata della persona. Io, prima di tutto, non ho un nome, ma una condizione.