la strategia della tensione in Italia
Il termine “Strategia della Tensione” fu usato per la prima volta dal celebre scrittore George Orwell in un articolo pubblicato sul settimanale inglese “The Observer” nel 1946. Lo stesso settimanale ripropose la fortunata espressione in un altro articolo, curiosamente pubblicato pochi giorni prima della Strage di piazza Fontana (12/ 12/1969). Nell’articolo si tratteggiava l’esistenza, sulla base di documenti appartenenti ai servizi segreti inglesi e ad agenti diplomatici, di una strategia politica e militare attuata dagli Stati Uniti nei paesi europei più vicini al Blocco Sovietico, sia geograficamente sia per la presenza di forti componenti filosovietiche e di sinistra.

Foto di Pietro Generali
In Italia era presente uno dei più forti partiti comunisti dell’Occidente, che affondava le proprie radici nel recente passato della Resistenza e che poteva quindi contare su un solido e capillare apparato organizzativo, elemento che costituiva un ulteriore motivo di preoccupazione per le autorità nazionali ed internazionali. Secondo l’articolo, la Strategia della Tensione mirava a creare, mediante attentati e azioni di forza da attribuire alle organizzazioni anarco-insurrezionaliste di sinistra, una situazione di continua tensione che giustificasse interventi decisi da parte delle forze dell’ordine e dell’esercito. Questi interventi dovevano scongiurare il paventato rischio di un golpe di stampo sovietico e garantire ai governi filoamericani e conservatori una maggiore libertà di azione in materia di ordine pubblico e libertà civili. L’articolo in realtà va oltre questa possibilità, arrivando a sostenere che il fine ultimo della strategia fosse l’insediamento, mediante colpi di stato, di veri e propri governi autoritari reazionari, che garantissero il massimo contrasto a qualsiasi avvicinamento al Blocco Sovietico.
Tutto questo risulta perfettamente coerente con la cosiddetta “Dottrina Truman”, ovvero la strategia inaugurata dall’omonimo Presidente degli Stati Uniti d’America con un discorso tenuto al Congresso nel 1947, che metteva al centro della politica estera statunitense il contrasto con ogni mezzo all’espansione sovietica nel mondo. A sostegno di questa ipotesi fondata ci sono anche le dichiarazioni del giudice Guido Salvini, che indagò sulla Strage di Piazza Fontana:
«Anche nei processi conclusesi con sentenze di assoluzione per i singoli imputati è stato comunque ricostruito il vero movente delle bombe: spingere l'allora Presidente del Consiglio, il democristiano Mariano Rumor, a decretare lo stato di emergenza nel Paese, in modo da facilitare l'insediamento di un governo autoritario. [...] erano state seriamente progettate in quegli anni, anche in concomitanza con la strage, delle ipotesi golpiste per frenare le conquiste sindacali e la crescita delle sinistre, viste come il “pericolo comunista”, ma la risposta popolare rese improponibili quei piani. L'on. Rumor fra l'altro non se la sentì di annunciare lo stato di emergenza. Il golpe venne rimandato di un anno, ma i referenti politico-militari favorevoli alla svolta autoritaria, preoccupati per le reazioni della società civile, scaricarono all'ultimo momento i nazifascisti. I quali continuarono per conto loro a compiere attentati.»
Quel che è certo è che le organizzazioni paramilitari neofasciste, spesso in rapporto o addirittura finanziate e armate dai Servizi Segreti italiani e stranieri, così come la destra eversiva e la massoneria, erano visti come un pericolo minore rispetto al cosiddetto “pericolo rosso”, ovvero l’eventuale spostamento dell’Italia verso Est nello scacchiere internazionale dominato dalla Guerra Fredda, in caso di vittoria elettorale del PCI. Non sembrerebbe dunque casuale il fatto che il numero e la gravità delle stragi e degli attentati abbiano subito forti incrementi nei momenti in cui le sinistre sembravano più vicine al potere, o comunque dimostravano di avere una maggiore capacità di mobilitare la cittadinanza.
L’inizio della Strategia della Tensione in Italia si fa convenzionalmente risalire alla Strage di piazza Fontana, (spesso citata infatti come “la madre di tutte le stragi”), poiché fu effettivamente la prima di una lunga serie di stragi affini per metodi e obiettivi. Già dal fatto che l’articolo sopra citato fosse uscito cinque giorni prima, è chiaro come la questione avesse in realtà radici ben più lontane, che qualche storico ha ritenuto opportuno collocare nel Piano Solo del 1964 o addirittura nella Strage di Portella della Ginestra del 1947. Tutte le tesi sono valide, poiché mettono in luce elementi importanti che sarebbero divenuti caratteristici di tutte le successive stragi.
A Portella della Ginestra (Palermo) 11 persone furono uccise e 27 ferite da scariche di mitraglia sparate dal bandito Salvatore Giuliano. Per comprendere la natura dell’atto bisogna ricordare che le recenti elezioni per l’Assemblea Regionale Siciliana avevano visto l’affermazione del Blocco del Popolo (PSI-PCI-PdA) con circa il 30% dei voti; l'alleanza precedeva di 10 punti percentuali la Democrazia Cristiana. Grazie anche al sistema elettorale proporzionale puro, questo successo elettorale netto e inatteso non impedì la formazione di un governo regionale monocolore DC, successivamente rimpastato per includere tutta l’area di centro-destra, ma contribuì ad accendere nei braccianti agricoli nuove speranze, che si concretizzarono in manifestazioni e occupazioni di terreni incolti. Inoltre, occorre considerare l’esistenza in Sicilia di importanti spinte separatiste dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, che avevano portato alla formazione di veri e propri eserciti indipendentisti tollerati dalle forze di occupazione. In un primo momento, esse avevano addirittura caldeggiato la formazione di uno Stato Siciliano indipendente. Questi eserciti comprendevano ex-briganti e mafiosi, come appunto Salvatore Giuliano. Gli studi più recenti sulla Strage di Portella della Ginestra tendono ad ipotizzare una certa vicinanza tra gli autori della strage e l’Esercito Americano, che alcuni ritengono possa essere considerato il mandante se non addirittura un coautore. Al di là delle diverse ipotesi formulate in merito, è innegabile la compenetrazione fra le forze militari statunitensi e i gruppi paramilitari clandestini. Si può notare inoltre come la strage di Portella costituisca un evento favorevole all’egemonia USA sul territorio: pericolose e massicce deviazioni della popolazione verso orientamenti di tipo socialista vengono scoraggiate, mentre i partiti cosiddetti “d’ordine”, cioè conservatori e tendenzialmente di destra, vengono rafforzati. La collaborazione fra la potenza egemone statunitense e gruppi paramilitari clandestini, principalmente di orientamento neofascista, allo scopo di realizzare obiettivi di “destabilizzazione al fine di stabilizzazione”, per utilizzare l’espressione del generale statunitense William Westmoreland, nel panorama pubblico e politico italiano sarà una costante nella lunga serie di stragi che va dal 1969 fino agli anni ’80, cioè il periodo comunemente chiamato “anni di piombo”.
Il Piano Solo può anch’esso costituire un episodio significativo nell’ambito della cronologia della Strategia della Tensione, poiché rende manifesto l’intento dell’allora Presidente della Repubblica Antonio Segni e del comandante dell’Arma dei Carabinieri Giovanni de Lorenzo di impedire ad ogni costo l’ascesa al potere del PCI. Il Piano consisteva in una serie di procedure da applicare in caso di vittoria elettorale del PCI, tra cui l’occupazione di tutte le sezioni locali del partito, le stazioni radiofoniche e in generale di ogni luogo che potesse costituire un ostacolo al buon esito del golpe. Esistevano inoltre lunghe liste di nomi, con rispettivi dossier, degli oppositori potenzialmente in grado di organizzare una reazione armata; il Piano prevedeva che le persone segnate su queste liste fossero immediatamente arrestate dai Carabinieri per essere al più presto confinate nelle basi militari della Sardegna. Ovviamente il Piano Solo era stato concepito con l’appoggio e la complicità dei Servizi Segreti Italiani e Nord-atlantici. Questo progetto mostra come in Italia, negli anni successivi all’inasprimento della tensione della Guerra Fredda, la svolta autoritaria non fosse una remota possibilità, bensì una realtà in agguato.
Infine, chi ritiene la Strage di Piazza Fontana l’inizio della Strategia della Tensione in Italia pone l’attenzione innanzitutto sull’uso sistematico della strage come mezzo di destabilizzazione delle istituzioni democratiche. In secondo luogo, intende marcare la differenza del contesto del Dopoguerra rispetto a quello del 1969, che aveva visto lo stravolgimento della società e dei valori tradizionali operata dal miracolo economico, ma anche l’inasprimento della tensione tra USA e URSS e l’emergere di una nuova strategia di contrasto al comunismo a partire dalla presidenza Kennedy, iniziata nel Gennaio 1961, che in Italia si concretizzò nella nascita dei governi di Centro-sinistra. L’alleanza PSI-DC aveva infatti lo scopo di avvicinare le componenti più moderate della sinistra per isolare il PCI, mettendosi così al riparo dalla possibilità di un esito elettorale che consegnasse la maggioranza parlamentare e il governo del paese ad una coalizione interamente di sinistra (PCI-PSI). Questa operazione era però fortemente osteggiata dalle componenti più conservatrici e reazionarie del panorama politico italiano, che si opponevano a qualunque avvicinamento delle sinistre alle leve del potere. Tra questi figurava anche il Presidente della Repubblica Antonio Segni, come illustrato in precedenza, che però terminò anticipatamente il suo mandato nel Dicembre 1964 per gravi problemi di salute.
Tuttavia, gli avvenimenti che crearono più preoccupazione tra i conservatori e che probabilmente innescarono l’esplosione stragista, a partire da Piazza Fontana, furono senza dubbio il Sessantotto e l’Autunno Caldo del 1969.
Il Movimento del Sessantotto proponeva un totale rifiuto e annientamento dell’ordine costituito a livello sociale, prima dentro le scuole e le università, poi nelle fabbriche. Gli scioperi dell’Autunno Caldo dimostravano da una parte la determinazione dei lavoratori nel rivendicare migliori condizioni di lavoro (si pensi all’orario e ai rapporti di lavoro, regolamentati poi con lo Statuto dei Lavoratori del 1970, o al fatto che i salari italiani erano fra i più bassi d’Europa nonostante l’Italia si presentasse come una delle maggiori potenze economiche dell’Occidente), mentre dall’altra la loro forza.
Una protesta di tali dimensioni spaventò il governo DC di Rumor, ma soprattutto allertò tutti i meccanismi di risposta ad un rischio di caduta nel bolscevismo.
In questa situazione molti storici e politici hanno individuato l’innesco dello stragismo nero; ad esempio Aldo Moro scrive nel cosiddetto Memoriale, redatto durante la sua prigionia presso le Brigate Rosse:
«La cosiddetta Strategia della Tensione ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il suo obiettivo, di rimettere l'Italia nei binari della "normalità" dopo le vicende del '68 ed il cosiddetto Autunno Caldo. Si può presumere che Paesi associati a vario titolo alla nostra politica e quindi interessati a un certo indirizzo vi fossero in qualche modo impegnati attraverso i loro servizi d'informazioni. Su significative presenze della Grecia e della Spagna fascista non può esservi dubbio e lo stesso servizio italiano per avvenimenti venuti poi largamente in luce e per altri precedenti [...] può essere considerato uno di quegli apparati italiani sui quali grava maggiormente il sospetto di complicità, del resto accennato in una sentenza incidentale del Processo di Catanzaro ed in via di accertamento, finalmente serio, a Catanzaro stessa ed a Milano. Fautori ne erano in generale coloro che nella nostra storia si trovano periodicamente, e cioè ad ogni buona occasione che si presenti, dalla parte di [chi] respinge le novità scomode e vorrebbe tornare all'antico.
Tra essi erano anche elettori e simpatizzanti della D.C.[...] non soli, ma certo con altri, lamentavano l'insostenibilità economica dell'autunno caldo, la necessità di arretrare nella via delle riforme e magari di dare un giro di vite anche sul terreno politico.»