la locura
se l'acchiappi, hai vinto
“Il peggior conservatorismo che, però, si tinge di simpatia, di colore, di paillettes.”
È così che lo sceneggiatore Aprea – interpretato da Valerio Aprea – rivolgendosi al regista René Ferretti, nella famosa serie Boris, spiega cosa sia la locura. Un concetto non tanto difficile da comprendere, in quanto appartenente tanto alla realtà rappresentata nella serie tv quanto alla nostra. René, che attraversa un periodo difficile dal punto di vista professionale e umano, viene spronato a lasciar perdere “la qualità” per tornare a dedicarsi al suo prodotto mediocre, tradizionalista e assurdo.

Foto di Pietro Generali
Perché è questo che piace. Perché, in fondo, anche a noi “la qualità ci ha rotto il cazzo”. Per piacere e per poter essere accettati all’interno della società, bisogna abbracciarne e accettarne i parametri; ma, per poter vantare un’individualità che distingue dalla massa, bisogna anche avere quella patina di personalità che resta in superficie e che si consuma velocemente tra lo sfregarsi e lo strisciare fra i corpi informi – e al contempo conformati tra loro - della omologazione.
In questo gioco di pesi e contrappesi si svolge la vita di un individuo sociale medio con alti e bassi, soddisfazioni e insoddisfazioni, rimpianti e pentimenti, picchi di felicità e picchi di tristezza, amore e odio. Come ogni regola, anche questa ha la sua eccezione: non si escludono a priori individui che accettano l’omologazione senza costruirsi una propria parvenza di personalità e individui che grazie proprio alla loro personalità spiccata riescono ad addentrarsi e a preservarsi nella massa. René ha passato tutta la vita a realizzare prodotti mediocri che lo hanno reso insoddisfatto, ma al contempo lo hanno rassicurato e assicurato, perché dare al popolo ciò che piace al popolo – citando di traverso una celebre frase che parla di un uomo che è stato in grado di ottenere consenso tramite l’attenzione rivolta ai gusti e agli umori della massa – gli ha permesso di continuare a lavorare, anche se non come realmente voleva. Tutto ciò che è fuori e che circonda la massa acquisisce gradualmente personalità e individualità. È un mondo caotico che è regolato da norme sociali disordinate e unitariamente contraddittorie, ma fortemente funzionanti e in grado di reggere un castello di sabbia.
Quanto può valere un desiderio di preservazione della propria peculiare individualità in confronto al desiderio – appartenente all’uomo in quanto uomo sociale – di sopravvivenza “umana” – aggettivo che svariate volte tende a indicare uno stato di fragilità e debolezza – in gruppo? L’ardua sentenza ai posteri. Nessuna delle due inclinazioni è da condannare, nessuna da celebrare come atto di coraggio: in egual parte sono da condannare e da celebrare. Per questo consiglio di usare la locura come strumento – e atteggiamento – che permette di varcare le soglie della bolla sociale, sacrificando la propria originalità consapevolmente, per ottenere come ricompensa la tanto agognata accettazione sociale; per poter provare la sicurezza di una vita tranquilla, mentre il mondo va a rotoli sotto gli occhi. A tutti gli altri – quelli che decidono di continuare a perdurare nella propria rarità – rivolgo la mia più sincera ammirazione e vicinanza.