appunto 1
eterotopie ritrovate
Considerazioni sui film interminabili
Negli scorsi tre giorni di festival ho passato quasi tutto il pomeriggio a vedere film lunghi, lunghissimi:
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Domenica 26/06 Ludwig di Luchino Visconti, min. 238 (circa 4 ore)
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Lunedì 27/06 Kahdeksan Surmanluotia di Mikko Niskanen, min. 316 (circa 5 ore)
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Martedì 28/06 La maman et la putain di Jean Eustache, min. 220 (circa 3 ore e 40)

Un film italiano (più o meno, la produzione e gli attori sono anche e soprattutto franco-tedeschi), un film finlandese (ma visto in origine dai finlandesi in TV sotto forma di miniserie a episodi) e un film francese, anzi francesissimo. Tre film molto diversi fra loro: un melodramma storico-biografico, un ritratto-fiume di un’esistenza emarginata e disperata e una commedia/dramma sentimentale a tre.
Dopo queste visioni, posso dire che queste pellicole non sono entrate esattamente nel mio personale pantheon cinematografico. Tuttavia, i motivi di interesse sono tanti e le riflessioni che ne sono nate molteplici. Per esempio:
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Ludwig mi ha confermato una cosa - a mio modesto parere - verissima sul cinema di Visconti: la pluralità dei registri. Luchino Visconti è quell’artista che riesce ad essere al tempo stesso estremamente didascalico e incredibilmente raffinato. Non nel senso che “accontenta tutti”, ma che ognuno nei suoi film può trovarci qualcosa, dal gusto per le ricostruzioni storico-artistiche alla sublimazione erotica, dalla soddisfazione nell’appassionarsi al dramma rappresentato fino alla riflessione sul senso o sullo spirito di un’epoca.
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Il finlandese (evito di riportare il titolo originale, impronunciabile: la traduzione è Otto colpi mortali), già celebrato da maestri del cinema come Aki Kaurismäki e il compianto direttore del Cinema Ritrovato per 14 anni Peter von Bagh, è un affresco paradigmatico di quelle vite borderline che affollano tanta produzione scandinava. Un dramma angosciante, ironico a modo suo, sul passaggio tragico di un ambiente rurale da una dimensione prettamente contadina a quella moderna del dopoguerra urbano e industriale. Con tanto, tanto alcol, che è poi la causa delle sventure dei protagonisti.
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La maman et la putain rappresenta una sorta di radicalizzazione e, per così dire, deflagrazione dei celebri ménage à trois della Nouvelle Vague. Ora, nel 1973, si parla di sesso, di cazzi e di fighe senza peli sulla lingua e ciò che deve essere mostrato si mostra, senza eccessive prudenze o accortezze. E poi c’è il solito logorroico e pedante Jean-Pierre Léaud, che fa Antoine Doinel senza però chiamarsi così in questa occasione.
Ora una nota personale. In generale, paradossalmente, ho fatto più fatica nelle ore iniziali piuttosto che in quelle finali. Sarà che all’inizio pensi che il grosso è ancora da venire e quindi, assistendo a certi pianosequenza, ti prende un po’ di sconforto. O forse, dopo ore di immedesimazione nelle storie raccontate, è naturale attendere la risoluzione dei conflitti. Oppure è solo sindrome di Stoccolma.
Considerazione sui film muti e su quelli di oggi
Non ho visto tanti film muti in questa edizione, finora. Ma dopo la visione di Zigomar vs. Nick Carter (nella sezione dedicata al pioniere del cinema poliziesco francese Victorin-Hippolyte Jasset), mi sento di fare una piccola nota estemporanea e profana sulla differenza tra film muti e film sonori. In breve: se ti distrai anche per un attimo durante un muto, non capisci più nulla di quello che succede dopo; mentre nei film “contemporanei” il succo delle vicende è diluito per tutto il minutaggio e frequenti sono i ripassi e gli spiegoni, rendendo così la concentrazione continuativa meno necessaria. Allora non posso che pensare a quanto diceva Walter Benjamin in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica: il cinema è quella forma artistica che viene recepita attraverso la distrazione. Ebbene, la prima stesura del saggio è del 1935-1936, e il cinema a cui fa riferimento è soprattutto quello muto (essendo il primo film sonoro del 1929). E se quella di Benjamin fosse più una profezia che un’analisi del cinema del suo tempo?
5 Luglio 2022
di Ludovico Romagnoli
Eterotopie ritrovate.
Appunto numero 0
Il 25 giugno incomincia una di quelle due o tre cose per cui la piaga bolognese per eccellenza – la metafisica afa padana, che tra il Reno e il Savena sprigiona al massimo tutta la sua mefistofelica potenza – diventa quasi sopportabile. E no, non si tratta solo del sistema di refrigerazione delle sale cinematografiche in cui ha luogo.
Durante i giorni del Cinema Ritrovato (qui tutte le informazioni necessarie: https://festival.ilcinemaritrovato.it/),

gli improvvidi avventori del festival cinefilo più importante del mondo vengono assaliti da uno strano patimento dell’anima, un’irrazionale tendenza a fissare un grande schermo per almeno venti ore al giorno e pensare, scrivere o parlare di film “vecchi” nelle rimanenti quattro. Il critico Roy Menarini ha infatti parlato di “un’indigesta, bulimica sindrome di Stendhal”, scegliendo, peraltro, un paio di aggettivi che ben esprimono l’esperienza “totale” dei tanti festivalieri che qui accorrono da tutto l’orbe terrestre, magari inframezzando le proiezioni con ben altre indigestioni e bulimie.
Fino al 3 luglio – ma anche oltre: per dire, il 4 sera arriva Wes Anderson in Piazza Maggiore a presentare un film del compianto Peter Bogdanovich! - la nostra città diventa la capitale del cinema mondiale. La gloriosa Cineteca ci vizierà e ci trastullerà con visioni che altrove altrimenti allora non abbiamo fatto e non potremo fare mai. Bologna, a fine giugno, diventa una gigantesca eterotopia, un’incredibile rete di luoghi che aprono ad altri luoghi, immagini che rimandano ad altre immagini, folgorazioni che si connettono ad altre folgorazioni. Magari su questo concetto dell’eterotopia ci torniamo in uno dei prossimi appunti.
Ad ogni modo, dopo anni di schivo, ma pur sempre fedele , quest’anno chi scrive codeste righe avrà l’onore di seguire il Festival del Cinema Ritrovato come inviato speciale per Radio C.A.P. APS. Non che sia poi così speciale, ma vabbè ci siam capiti. Lo stesso soggetto dichiara di voler usare questo spazio - concessogli cortesemente dagli alti vertici della testata, che qui si intendono ringraziare – come una semplice piattaforma di micro-blogging. Quindi aspettatevi: pensieri sconnessi, discorsi frammentari, elucubrazioni che non portano da nessuna parte e, soprattutto, tanta ma tanta autoreferenzialità. Del resto, la frequenza di pubblicazione di questi appunti non sarà regolare, né tantomeno garantita per tutta la durata del festival. Accontentatevi, insomma.
A presto!