allo specchio
tra realtà e dismorfofobia

Foto di Giacomo Canton
Quando racconto qualcosa di personale non so mai come iniziare, ho sempre l’impressione che il mio pensiero appaia stupido e superficiale. In questo caso mi voglio affidare a un’immagine non mia, ma che ho letto recentemente nel romanzo "Gli indifferenti" di Alberto Moravia. Mi è rimasta particolarmente impressa la scena nella quale il personaggio di Carla si osserva nudo, notando i cambiamenti del suo corpo; osserva l’atteggiamento goffo, la sproporzione tra la testa troppo grande e le spalle esigue - forse a causa dei capelli - le sue gambe storte, il petto troppo basso. Particolare è il fatto che lo stesso corpo nel corso del romanzo sia oggetto di desiderio. Ritengo che questa immagine possa tranquillamente racchiudere il senso del discorso. Lo specchio appartiene alla simbologia del volersi esplorare, ma è anche il punto dove la nostra immagine viene estraniata, è come se ci vedessimo da fuori. Carla aliena sé stessa nello specchio e il corpo si reifica. Però il racconto non analizza questo suo non riconoscersi nel proprio corpo, non arriva neanche a formulare una frase su questa disconnessione, rimanendo su pensieri superficiali. Come dicevo prima, non so mai come descrivere le emozioni, non trovo mai le parole giuste che diano avvio al discorso. Trovo più facile, invece, dover spiegare qualcosa in modo freddo e distaccato, come se non mi appartenesse. Ho deciso di fare così anche con questa storia.
Tutti noi non apprezziamo totalmente il nostro aspetto. Un naso grosso o delle orecchie molto grandi sono imperfezioni che possono infastidirci, ma non interferiscono con la nostra vita di tutti i giorni, benché oramai si riservi molto tempo alla cura del proprio corpo, cercando di aderire ai canoni estetici imposti dalla società. Per alcune persone, tuttavia, l’aspetto fisico finisce con il rappresentare un incubo tormentoso e segreto, a tal punto da indurre pensieri fastidiosi che danno vita a grande sofferenza interiore, disturbando le relazioni quotidiane.
La dismorfofobia (o disturbo da dismorfismo corporeo) è la patologia caratterizzata da pensieri ossessivi e intrusivi che provocano disagio, connessi a uno o più difetti fisici minimi, oppure, non osservabili dagli occhi altrui. Le lamentele possono riguardare qualsiasi parte del corpo, ma le più frequenti sono: pelle; capelli; naso e occhi; gambe, ginocchia e piedi; seno; pancia; organi genitali; denti ed orecchie; proporzioni corporee.
Questo disturbo si manifesta con la visione distorta di sé, tanto da alterare completamente la percezione estetica del proprio corpo. Con il passare del tempo la fobia cresce ed evolve, fino a quando l’individuo passa dall’avere paura di essere brutto all’identificazione vera e propria con l’idea di bruttezza. Il pensiero costante è quello di essere depressi, angosciati e brutti, con la convinzione che la “bellezza” sia l’unica via d’uscita. Dal volersi migliorare si passa al volersi correggere o mascherare in modo ossessivo, tramite l’applicazione quotidiana e maniacale del trucco e l’acquisto compulsivo di prodotti di bellezza o di abiti. Non mancano le abitudini automutilanti come lo “skin picking” (cioè la “pulizia” del viso attuata mediante lamette, aghi e forbici). Quando si soffre di questa patologia, si sviluppa una relazione speciale con lo specchio: ci si controlla ripetutamente, cercando rassicurazioni e conferme di ciò che si pensa e sente, a volte per molte ore al giorno. Ogni pretesto è buono per guardarsi e controllarsi. Tuttavia, a questo si possono alternare fughe dagli specchi e dalla luce diretta. Spesso chi è convinto di avere qualche difetto fisico mette in atto esami tattili della parte interessata. Alcuni di questi gesti naturali e ripetitivi sono: il toccarsi per controllare se si sentono le ossa; controllare quanto stringono gli orologi o le cinture. Solitamente chi li compie lo fa con due intenti apparentemente contradditori: da un lato per accertarsi che il difetto sia sotto controllo o addirittura stia svanendo; dall’altro lato per confermare la presenza del difetto. Le conseguenze non possono che essere negative: più si osserva qualcosa meno si è lucidi nel valutarla (saranno proprio questi atteggiamenti che porteranno ad un aggravamento del disturbo).
Non ci si convince di avere un aspetto normale anche cercando continue rassicurazioni da familiari o persone vicine. Anzi, i vari commenti possono essere maggiormente distorti nelle situazioni sociali oppure quando ci si trova di fronte ad uno specchio. Prende corpo l’ambivalenza di due desideri: quello di una conferma della propria paura e quello di una rassicurazione sulla esiguità delle anomalie. Nessuna risposta può però dare conforto, ma neanche l’indifferenza può farlo, poiché si giunge ad una convinzione assoluta della propria deformità al punto da credere di non poter suscitare negli altri nient’altro che derisione o ribrezzo.
L’immagine corporea si crea tramite un processo di tipo percettivo, ovvero mediante la percezione che si ha di sé. Questa è influenzata dalle convinzioni riguardo a proporzioni ideali: più esse sono rigide, maggiore sarà la possibilità di sviluppare un’immagine corporea negativa. Chi si ritiene “brutto” riesce a vedere gli altri “belli”, dando il via ad un gioco di proiezioni per il quale è possibile osservare negli altri ciò che non si possiede. Diventa impossibile assimilare la parte bella di sé stessi, in quanto utopistica e fuori portata. Ciò è ancor più probabile in presenza del cosiddetto “perfezionismo”, tanto è vero che più si cerca di rincorrere un ideale perfetto, più si crede di dover migliorare un corpo altrimenti inadeguato.
Anche la vita diventa insoddisfacente, esclusivamente a causa del proprio problema di natura fisica. Così i dismorfofobici ricorrono in modo maniacale alla chirurgia estetica, la quale porterà sicuramente a un risultato deludente, in quanto le preoccupazioni sono indipendenti dall’essere “belli” o “brutti”. Per chi ha paura della bruttezza, ciò che conta non è il risultato dell’intervento chirurgico, ma l’eliminazione della fobia.
Essere semplicemente scontenti del proprio aspetto fisico non rappresenta un sintomo di interesse psichiatrico. L’insoddisfazione diviene tuttavia patologica quando ci si convince che gli altri siano consapevoli delle proprie deformità tanto che l’ansia e la preoccupazione danneggiano i rapporti sociali. Il “limite” viene dichiarato dal grado di insight, un parametro del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, classificato in: buono o sufficiente, quando l’individuo riconosce che le convinzioni sono decisamente - o probabilmente - non vere; scarso, se l’individuo pensa che le convinzioni relative al disturbo siano probabilmente vere; assente, nel caso in cui l’individuo sia assolutamente sicuro delle sue convinzioni.
L’esordio può avvenire fra i 10 e i 20 anni ed è più comune nelle donne, ma colpisce anche molti uomini. L’uomo ha più probabilità di avere preoccupazioni legate ai genitali, mentre la donna ha più di frequente un disturbo alimentare in comorbidità. Spesso, infatti, questa patologia può essere accompagnata da altre patologie legate al comportamento come: disturbo antisociale di personalità, narcisismo, disturbo fobico-ossessivo e disturbi del comportamento alimentare. Tuttavia, i disturbi dell’alimentazione possono essere - oltre che un effetto - una causa. In alcuni casi si verifica addirittura un’alterazione delle percezioni visive e propriocettive, ovvero la rappresentazione del proprio corpo, dei movimenti e delle proporzioni.
Per chi ne soffre è molto difficile riconoscere di avere questa patologia: sono i propri occhi che mentono, riflettendo nello specchio una realtà non effettiva. Quello proiettato è un dolore profondo che viene trasferito sul corpo poiché tangibile e, naturalmente, sempre con sé.
È intuibile il fatto che il disagio sentito non dipenda dall’effettivo aspetto fisico, ma è un fenomeno a sé stante. Il centro del discorso ha a che vedere con l’autostima, che si basa sulla percezione del nostro essere e che ricopre cinque fondamentali aree della nostra vita quotidiana: sociale, professionale, familiare, estetico-corporea e culturale. Per questo le difficoltà ad uscire di casa sono all’ordine del giorno. L’intera vita può essere sconvolta fino ad estremi isolamenti sociali e gravi depressioni che, talvolta, sfociano in pensieri suicidari. Purtroppo, i difetti e le deformità presunte rimangono a lungo preoccupazioni private, esternate solo quando il disagio non è più controllabile. D’altra parte, è difficile comprendere pienamente i motivi e la portata di questo tormento. Gli altri tendono a minimizzare l’entità del problema; dall’esterno, infatti, le anomalie non sono visibili o risultano irrilevanti.
In ogni caso, senza trattamento il disturbo peggiora nel tempo. Per questo è importante dare voce al corpo, senza trascurare i pensieri che lo invadono e le paure che lo bloccano. Non conosco il metodo per riuscire ad amare il proprio corpo rendendolo parte di sé stessi, ma sono certa di una cosa: il vero dolore è quello interiore, il corpo riporta solo il castigo autoindotto e un grande grido di aiuto.